P.E.N.E.L.O.P.E. ci ha invitato a
riflettere sulla manovra finanziaria e su come la riduzione della
spesa sociale e la contro-riforma delle leggi sul lavoro nella stessa
contenute finiscano per penalizzare soprattutto le donne.
La crisi e la conseguente riduzione di: debito pubblico/spesa
sociale/welfare, non riguarda, come sappiamo, solo l’Italia, ma
molti paesi europei che sono ormai ostaggio dei mercati finanziari.
L’articolo del prof. Fumagalli,
economista dell’Università di Pavia, spiega perché ciò avviene e
in che modo e con quali obiettivi “la speculazione finanziaria ha
preso di mira il welfare” di molti stati.
di ANDREA FUMAGALLI
Nei commenti
della maggior parte degli organi di stampa e nelle dichiarazione sia
degli uomini politici che dei cosiddetti esperti, uno spettro (o
meglio un incubo) si aggira per l’Europa. Non è lo spettro del
comunismo, bensì l’incubo dei mercati finanziari. Tutti sono
in attesa del loro responso, forma di moderno oracolo, in grado di
condizionare e incidere sulla vita di milioni di persone, di far
cadere un governo, di imporre elezioni anticipate oppure la
sottoscrizione di documenti e patti sociali altrimenti poco credibili
tra firmatari altrettanto poco credibili.
Il biopotere dei mercati finanziari si
è grandemente accresciuto con la finanziarizzazione dell’economia.
Se il Prodotto interno lordo del mondo intero nel 2010 è stato di 74
mila miliardi di dollari, la finanza lo surclassa: il mercato
obbligazionario mondiale vale 95 mila miliardi di dollari, le borse
di tutto il mondo 50 mila miliardi, i derivati 466 mila miliardi.
Tutti insieme (al netto delle attività sul mercato delle valute e
del credito), questi mercati muovono un ammontare di ricchezza otto
volte più grande di quella prodotta in termini reale: industrie,
agricoltura, servizi. Tale processo, oltre a spostare il centro della
valorizzazione e dell’accumulazione capitalistica dalla produzione
materiale a quella immateriale e dello sfruttamento dal solo lavoro
manuale anche a quello cognitivo, ha dato origine ad una nuova
“accumulazione originaria”, che, come tutte le accumulazioni
originarie, è caratterizzata da un elevato grado di concentrazione.
Per quanto riguarda il settore
bancario, nel 1984 le prime dieci banche al mondo controllavano il
26% del totale delle attività , con il 50% detenuto da 64 banche e
il rimanente 50% diffuso tra le 11.837 rimanenti banche di minor
dimensione. I dati della Federal Reserve ci dicono che dal 1980 al
2005 si sono verificate circa 11.500 fusioni, circa una media
di 440 all’anno, riducendo in tal modo il numero delle banche a
meno di 7.500. Al I° trimestre 2011, cinque Sim (Società di
Intermediazione Mobiliare e divisioni bancarie: J.P Morgan,
Bank of America, Citybank, Goldman Sachs, Hsbc Usa) e cinque banche
(Deutsche Bank, Ubs, Credit Suisse, Citycorp-Merrill Linch,
Bnp-Parisbas) hanno raggiunto il controllo di oltre il 90% del totale
dei titoli derivati: Swaps sui tassi di cambio, i Cdo (
Collateral debt obligations) e i Cds (Collateral defauld
swaps). Fonte:
http://www.occ.treas.gov/topics/capital-markets/financial-markets/trading/derivatives/
dq111.pdf.
Nel mercato azionario, le strategie di
fusione e acquisizione hanno ridotto in modo consistente il numero
delle società quotate. Nel 1984 le prime 10 società con maggiore
capitalizzazione di borsa, pari allo 0,12% delle 7.800 società
registrate, detenevano il 41% del valore totale, il 47% del totale
dei ricavi e il 55% delle plusvalenze registrate. Nel 2011, tali
percentuali sono rimaste pressoché inalterate, con la differenza che
tre di loro (Merrill Lynch, Lehman Brothers and Goldman Sachs) si
sono fuse all’inizio del 2008 o sono divenute compagnie bancarie
(ad esempio, l’acquisizione di Merrill Linch da parte di Citycorp)
oppure, come nel caso di Lehman Brothers (e Bear Starney) sono
fallite, favorendo in tal modo un ulteriore processo di
concentrazione (Fonte: Federal Reserve).
In tale processo di concentrazione, il
ruolo principale è detenuto dagli investitori istituzionali (termine
con il quale si indicano tutti quegli operatori finanziari – da
Sim, a banche, a assicurazioni,– che gestiscono per conto terzi
gli investimenti finanziari: sono oggi coloro che negli anni ’30
Keynes definiva gli “speculatori di professione”) . Nel 1984,
relativamente al mercato americano, il valore dei titoli da loro
intermediati, ammontava a circa a 2,6 miliardi di dollari. A fine
2007, secondo i dati della Federal Reserve, gli investitori
istituzionali trattavano titoli per un valore nominale pari a 39
miliardi, il 68,4% del totale. E’ importante notare che tale quota
si è incrementata nell’ultimo anno, soprattutto in seguito alla
diffusione dei titoli di debito sovrano. Ad esempio, per quanto
riguarda il debito pubblico, italiano, circa l’87% è detenuto da
investitori istituzionali, per oltre il 60% all’estero (a
differenza di quanto avviene in Giappone).
Da questi dati, possiamo arguire che in
realtà i mercati finanziari non sono qualcosa di etereo e neutrale,
ma sono espressione di una precisa gerarchia: lungi dall’essere
concorrenziali (credenza apparentemente confermata dall’elevata
flessibilità dei “prezzi”, flessibilità che è invece alla base
delle plusvalenze), essi si confermano come fortemente concentrati e
oligopolistici: una piramide, che vede, al vertice, pochi operatori
finanziari in grado di controllare oltre il 70% dei flussi finanziari
globali e, alla base, una miriade di piccoli risparmiatori che
svolgono una funzione meramente passiva. Tale struttura di mercato
consente che poche società (in particolare le dieci, tra Sim e
banche, citate in precedenza) siano in grado di indirizzare e
condizionare le dinamiche di mercato. Le società di rating (spesso
colluse con le stesse società finanziarie), inoltre, ratificano, in
modo strumentale, le decisioni oligarchiche che di volta in volta
vengono prese.
Dopo la crisi dei subprime del 2008-09,
a partire dal 2010, la speculazione finanziaria ha preso di
mira le politiche di welfare. Il suo carattere di biopotere si
è così ancor più accentuato, andando a incidere direttamente sulle
forme di vita. Tutto ciò non può stupire, dal momento che sono
proprio la produzione di servizi sociali e immateriali (salute e
medicina-farmaceutica, formazione, ricerca, sfruttamento delle
risorse naturali, comunicazione e linguaggi, biogenetica) i
centri principali della produzione di plusvalore.
Ciò che sta accadendo in queste
settimane ne è la più clamorosa conferma. Il meccanismo speculativo
si svolge secondo le seguenti fasi, pur in presenza di variazioni sul
tema a seconda del tipo di attività finanziaria di volta in volta
oggetto dell’attenzione speculativa.
Fase 1: in situazioni di estrema
incertezza e instabilità (quindi in situazioni di normalità
finanziaria), alcuni settori (con riferimento ai titoli privati) o
alcuni sistemi di welfare (con riferimento ai titoli sovrani) possono
divenire oggetto di interesse speculativo, grazie alla presenza di
alcuni fattori concomitanti che ne possono accentuare la volatilità.
Tale volatilità può essere al rialzo (come, ad esempio, nel caso
dei titoli derivati sul petrolio, nel corso dell’estate-autunno
2010, oppure nel periodo di nascita e sviluppo di una convenzione
finanziaria che dà origine ad una bolla speculativa) o al ribasso,
come nella situazione odierna.
Fase 2. L’intervento delle società
di rating, tramite il declassamento o l’upgrading di parametri
fittizi di valutazione del rischio, ha l’obiettivo di certificare
ufficialmente una situazione di panico o di euforia. Nel caso dei
titoli sovrani (welfare), si tratta sempre di situazioni
emergenziali. E’ difficile individuare l’effettivo nesso di causa
ed effetto tra declassamento del titolo sovrano e inizio della sua
perdita di valore. Il punto, più volte denunciato a parole ma
mai seriamente affrontato nell’agenda dei cosiddetti “riformatori”
dei mercati finanziari (ad esempio, il Financial Stability Forum,
capitanato dal neo-governatore della Bce, Mario Draghi), è l’elevata
collusione tra le società di rating e i grandi investitori
istituzionali, che vedono spesso sovrapposizioni di cariche nei
Consigli di Amministrazione, nonché partecipazioni incrociate. Al
riguardo, il recente downgrade dei bond Usa può rappresentare una
cartina di tornasole. Comunque sia, una volta indotta la fase
emergenziale, inizia la diminuzione di valore del titolo. I primi che
vendono sono proprio i principali investitori istituzionali. Ad
esempio, nei primi sei mesi del 2011, Deutsche Bank (tra le prime 10
potenze finanziarie del globo) ha ridotto dell’88 per cento
la propria esposizione sui titoli di Stato italiani, riducendo il
proprio portafoglio di titoli dagli 8 miliardi detenuti alla fine del
2010 a 997 milioni di euro di oggi (fonte: Financial Times), dando
inizio all’aumento dello spread tra Btp italiani e bond decennali
tedeschi. Tale politica di vendite aveva interessato in precedenza la
Grecia e anche altri paesi europei, con riduzioni dell’esposizione
verso Portogallo, Italia, Irlanda, Spagna e Grecia di quasi il
70%. Occorre notare che tali vendite, sono avvenute a scaglioni,
precedendo gli effettivi crolli che tali titoli hanno poi realmente
manifestato. Infatti, un simile massiccio afflusso di vendite si
traduce immediatamente nel calo dei prezzi dei bond in questione, e
quindi in un incremento del “rendimento” che questi devono
garantire per rifinanziare il debito nazionale. Ne consegue
l’ampliamento della forbice (spread) dei tassi d’interessi con
analoghi titoli sovrani, ritenuti più sicuri e meno volatili (di
solito, i bond tedeschi, americani e giapponesi, i quali pur avendo
un rapporto debito/pil di oltre il 200% presentano una collocazione
dei propri titoli di Stato per oltre l’80% in mani nazionali).
Fase 3: una volta conclamata la fase
d’emergenza, si deve correre ai ripari. Nel caso in esame, gli
stati nazionali sono più o meno costretti a prendere misure di
controllo del debito pubblico e quindi di riduzione del welfare in
nome dei diktat del pensiero neo e social-liberista, a seconda del
colore dei governi. Essi si traducono, come sappiamo e abbiamo già
analizzato, in una riduzione dell’intervento pubblico e nello
smantellamento del welfare sociale. Non solo. La Banca Centrale
Europea è costretta, al di là delle diatribe nazionalistiche tra
Francia e Germania, a intervenire per immettere moneta ex nihilo al
fine di consentire il pagamento delle tranches di interesse. Nel caso
di Italia e Spagna, il gioco è a dir poco facilitato: essendo i due
paesi “too big to fail”, il rischio default è del tutto
scongiurato, nonostante la stampa emergenziale continui a pensarlo
possibile e i mercati finanziari continuino ad ipotizzarlo. Si
tratta, mutatis mutandis, dell’analogo rischio corso con gli Usa.
Nelle scorse settimane, per l’Italia e la Spagna, l’emergenza ha
funzionato, per gli Usa, pur avendo scongiurato il rischio di default
“tecnico”, la pressione speculativo-emergenziale pare stia
cominciando solo ora, con il downgrade di Standard & Poor’s. Un
ulteriore conferma di come i mercati finanziari siano manovrabili
molto più facilmente di quanto si possa immaginare e di come siano
di gran lunga più potenti di qualsiasi stato nazionale.
Fase 4. Una volta che la situazione è
arrivata al punto giusto, sempre per decisione di quegli investitori
istituzionali che condizionano i mercati finanziari, e i titoli
sovrani sono ritenuti aver raggiunto il giusto ribasso e una volta
che adeguati provvedimenti di politica economica sono stati
intraprese a vantaggio dei mercati finanziari, l’emergenza, come
d’incanto, cessa. Gli acquisti cominciano, le borse si risollevano
e gli investitori istituzionali iniziano a far incetta dei titoli
sovrani ai valori minimi. Nel giro di pochi giorni si maturano
plusvalenze di tutto rispetto. Si calcola che dopo il primo attacco
speculativo di metà luglio contro i titoli italiani, greci e
spagnoli, con cali delle borse delle principali piazze finanziarie di
oltre il 7-8%, in seguito al piano europeo di intervento
straordinario di oltre 110 miliardi di euro a sostegno della Grecia,
il recupero sia stato tale da riportare gli indici azionari ai valori
precedenti, con plusvalenze che hanno raggiunto livelli record in
pochi giorni, sino a consentire a Goldman Sachs di godere di maggior
liquidità della stessa Federal Reserve americana.
Quando si specula al ribasso, il
momento topico è, dunque, l’inversione di rotta degli indici di
borsa. Tale momento dipende da molti fattori: in primo luogo,
dal grado di collusività tra le società finanziarie egemoni e, in
secondo luogo, dai provvedimenti che vengono presi dalle autorità
monetarie (Bce) e dai governi nazionali maggiormente sottoposti
alla pressione speculativa. Il recente caso Usa e europeo sono da
manuali. Il rischio di default “tecnico” degli Usa ha
provvisoriamente distolto l’attenzione dalla pressione speculativa
sui paesi europei a maggior debito pubblico. Tuttavia, nessuno dei
principali speculatori i ha mai creduto alla possibilità di un
default americano. Tale rischio ha, però, ottenuto i risultati
sperati, imponendo vincoli sulla gestione del bilancio pubblico
americano in materia di spesa sociale e favorendo l’aumento di
liquidità monetaria a sostegno dei mercati finanziari. Non dissimile
è la situazione europea. I diversi governi europei, sottoposti a
pressione speculativa, hanno tutti adottato politiche fiscali
“lacrime e sangue”. Alcuni, come la Spagna, hanno deciso di
ricorrere ad elezioni anticipate, con l’effetto di distogliere la
pressione speculativa a fronte della prospettiva di una vittoria
elettorale di forze più consone al credo neo-liberista. Altri, come
l’Italia, hanno messo in cantiere misure restrittive di ampia
portata, ma con effetto non immediato ma solo nel biennio 2013-14
(manovra finanziaria di 80 miliardi, di cui oltre il 70% concentrato,
appunto, nel biennio 20134-14, una volta terminata l’attuale
legislatura). Dopo l’intervento a sostegno alla Grecia e la
decisione della Bce di acquistare sul mercato secondario dei titoli
di stato prevalentemente bond spagnoli e portoghesi, non può stupire
che l’obiettivo più lucroso della pressione speculativa, a
prescindere dalla situazione economica (che, comunque non è delle
migliori, soprattutto in termini di distribuzione del reddito e
capacità di investimento) sia diventata l’Italia. Le aspettative
speculative sono così concentrate su un nuovo intervento della Bce,
in grado di iniettare nuova liquidità con l’obiettivo di dare
nuova linfa ai mercati finanziari, o sulla ridefinizione dei tempi
della manovra finanziaria. E tali misure non si sono fatte attendere.
La Bce, al momento (8 agosto 2011), non
si è ancora resa disponibile ad un intervento straordinario per
Spagna e Italia, così come fatto, a più riprese, per Grecia,
Irlanda e Portogallo. Si è limitata solo a dichiarare l’acquisto
di un numero maggiore di titoli italiani. Il governo italiano,
all’interno di una ritrovata concertazione sociale (forse ancor più
pericolosa della speculazione finanziaria) si è invece affrettato ad
accettare i diktat dei mercati finanziari: anticipo del grosso della
manovra finanziaria di un anno con il bilancio in pareggio non più
nel 2014 ma già nel 2013; inserimento nella carta costituzionale
dell’obbligo del bilancio pubblico in pareggio, così come
nell’art. 105 del Trattato di Maastricht si era inserito a livello
europeo il vincolo di un tasso d’inflazione non superiore al 2%;
ulteriore smantellamento e privatizzazione del welfare. Tali misure
saranno poi accompagnate da un ulteriore processo di liberalizzazioni
e di precarizzazione sul mercato del lavoro, chiedendo ulteriori
sacrifici alle parti sociali, in nome dell’emergenza nazionale.
Come abbiamo già sostenuto in altra
occasione
(http://uninomade.org/la-farsa-dellemergenza-economica-parte-ii/), il
raggiungimento di tali obiettivi è praticamente impossibile: lo era
già in un lasso di tempo più lungo, figuriamoci in un periodo ancor
più breve e per di più con un onere degli interessi accresciuto
nell’ultimo mese di circa 2,8 miliardi di euro in seguito
all’aumento dei tassi d’interessi di queste settimane (cfr.
Francesco Daveri:
http://www.lavoce.info/articoli/pagina1002486.html).
I grandi investitori istituzionali
sanno perfettamente tutto ciò. Il raggiungimento del bilancio in
pareggio dell’Italia o degli altri paesi europei non interessa. Ciò
che a loro interessa è, in primo luogo, che lo spazio per la
speculazione finanziaria al ribasso rimanga sempre aperto e in
secondo luogo che nuova liquidità venga continuamente e
costantemente iniettata nel circuito dei mercati finanziari, al
fine di accrescere la solvibilità delle transazioni. Infine, in
terzo luogo, si vuole che venga garantito il pagamento delle tranches
di interessi.
L’attività speculativa è quindi
sempre in azione. Se provvisoriamente non interviene in Europa, può
sempre intervenire sul mercato delle valute o sui derivati delle
materie prime oppure sui titoli di stato americani (come sembra
oramai evidente, visto il declassamento del debito Usa da parte di
Standard&Poor di questi giorni) o viceversa.
Si tratta di un meccanismo che nulla ha
di parassitario, anzi. Da quando non sono più in vigore gli accordi
di Bretton Woods, i mercati finanziari stabiliscono in modo autonomo
e sovranazionale il valore della moneta, sulla base delle gerarchie e
delle aspettative che gli speculatori istituzionali di volta in volta
definiscono. La pervasività dei mercati finanziari sulla vita
economica e sociale degli abitanti della terra (dai contadini del Sud
del mondo, agli operai e ai precari dell’Est e dell’Ovest del
mondo, dagli studenti ai migranti) è tale che l’accesso a
porzioni (sempre più decrescenti) di ricchezza sia
condizionato direttamente e indirettamente dagli effetti distributivi
e distorsivi che gli stessi mercati finanziari generano. Qui sta il
loro biopotere e la loro governance. Ogni euro di plusvalenza
generata virtualmente nell’attività speculativa ha effetti reali
sull’economia per circa un 30% (secondo i dati della Bri), mettendo
in moto un moltiplicatore finanziario che incide direttamente sulle
capacità di investimento e di distribuzione del reddito che stanno
alla base dell’attuale processo di accumulazione. Tale 30% di fatto
è creazione netta di moneta, al di fuori di qualsiasi forma di
signoraggio statuale oggi esistente. La produzione di moneta a mezzo
di moneta implica una nuova legge del valore e nuove regole di
sfruttamento (cfr
http://www.ephemeraweb.org/journal/10-3/10-3index.htm) ed è
per questo potere che i mercati finanziari sono oggi al centro della
valorizzazione.
A fronte di questo contesto, è
necessario operare per restringere il campo d’azione dei mercati
finanziari: non tramite l’illusione di una loro riforma, ma tramite
la costituzione di un contropotere, in grado di erodere la loro
efficacia. E’ necessario rompere il circuito della speculazione
finanziaria (soprattutto quando è al ribasso) andando a colpire la
fonte del loro guadagno, ovvero favorendo la completa svalutazione
dei titoli che sono di volta in volta al centro dell’attività
speculativa. Tale obiettivo può essere ottenuto solo tramite
uno strumento: il non pagamento degli interessi (o la loro dilazione
temporale) e la dichiarazione di default (bancarotta). In tal
modo, lo strumento stesso della speculazione verrebbe meno: i titoli
di debito sovrani diventerebbero di conseguenza carta straccia, junk
bonds o titoli spazzatura. Gli investitori istituzionali
speculano sul rischio di default ma sono i primi a non volere il
default. Certo, la speculazione si sposterebbe altrove, creando nuove
emergenze, ma almeno non avrebbe come mira il welfare, soprattutto se
si perseguisse una strategia di default controllato, ovvero
accompagnata a livello europeo e di concerto con la Federal
Reserve da una politica comune di gestione della crisi, finalizzata,
non solo a creare un fondo di intervento a sostegno dei paesi in
difficoltà , ma soprattutto a emettere Eurobonds in grado di
sostituire i titoli sovrani entrati in default a tassi d’interessi
fissi e con interventi di controllo della libera circolazione dei
capitali.
Di fatto, tale prospettiva è stata già
in parte sperimentata per la Grecia. Proprio per il rischio di
default, i titoli di Stato greci sono diventati titoli spazzatura
perdendo oltre il 70% del loro valore. Tale situazione ha reso
necessario (per evitare gli effetti negativi sull’Euro) un
piano straordinario di intervento europeo. Tale piano, tuttavia,
invece di essere finanziato con l’emissione di nuovi titoli di
stato garantiti dalla Bce in grado di sostituire quelli greci
ad un tasso d’interesse prestabilito sulla base dei tassi libor o
del tasso ufficiale di sconto, si è limitato a fornire la liquidità
necessaria perché le banche creditrici potessero in qualche modo
compensare le perdite subite dalla svalorizzazione dei titoli. In tal
modo, nuova linfa è stata fornita alla speculazione finanziaria.
Il diritto al default è già in
funzione. E’ questa l’unica risposa politica adeguata. Occorre
prenderne atto.