giovedì 13 ottobre 2011

C.I.D. INCONTRO PER UN'ECONOMIA NONVIOLENTA sabato 15 ottobre

SABATO 15 OTTOBRE ore 21
TEATRO DELLA FEDERAZIONE OPERAIA SANREMESE
Via Corradi 64
SANREMO
Il CENTRO INIZIATIVA DONNE

Organizza UN INCONTRO su

SI FA PRESTO A DIRE LAVORO….
MA DOV’E’?”

IL LAVORO CHE VORREI.
COSTRUIRE IL FUTURO TRA CRISI E OPPORTUNITA’.

Intervengono

GIULIA STELLA
SEGRETARIA REGIONALE C.G.I.L.

TULLIO TINTI
DIRETTORE CENTRO ANCORA di VENTIMIGLIA
NELL’AMBITO DEGLI EVENTI DI “OTTOBRE DI PACE 2011”

Dedicati a UN’ECONOMIA NONVIOLENTA


domenica 25 settembre 2011

CRISI ECONOMICA E MECCANISMI FINANZIARI


P.E.N.E.L.O.P.E. ci ha invitato a riflettere sulla manovra finanziaria e su come la riduzione della spesa sociale e la contro-riforma delle leggi sul lavoro nella stessa contenute finiscano per penalizzare soprattutto le donne.

La crisi e la conseguente riduzione di: debito pubblico/spesa sociale/welfare, non riguarda, come sappiamo, solo l’Italia, ma molti paesi europei che sono ormai ostaggio dei mercati finanziari.

L’articolo del prof. Fumagalli, economista dell’Università di Pavia, spiega perché ciò avviene e in che modo e con quali obiettivi “la speculazione finanziaria ha preso di mira il welfare” di molti stati. 

 di ANDREA FUMAGALLI
Nei commenti della maggior parte degli organi di stampa e nelle dichiarazione sia degli uomini politici che dei cosiddetti esperti, uno spettro (o meglio un incubo) si aggira per l’Europa. Non è lo spettro del comunismo, bensì l’incubo dei mercati finanziari.  Tutti sono in attesa del loro responso, forma di moderno oracolo, in grado di condizionare e incidere sulla vita di milioni di persone, di far cadere un governo, di imporre elezioni anticipate oppure la sottoscrizione di documenti e patti sociali altrimenti poco credibili tra firmatari altrettanto poco credibili.
Il biopotere dei mercati finanziari si è grandemente accresciuto con la finanziarizzazione dell’economia. Se il Prodotto interno lordo del mondo intero nel 2010 è stato di 74 mila miliardi di dollari, la finanza lo surclassa: il mercato obbligazionario mondiale vale 95 mila miliardi di dollari, le borse di tutto il mondo 50 mila miliardi, i derivati 466 mila miliardi. Tutti insieme (al netto delle attività sul mercato delle valute e del credito), questi mercati muovono un ammontare di ricchezza otto volte più grande di quella prodotta in termini reale: industrie, agricoltura, servizi. Tale processo, oltre a spostare il centro della valorizzazione e dell’accumulazione capitalistica dalla produzione materiale a quella immateriale e dello sfruttamento dal solo lavoro manuale anche a quello cognitivo, ha dato origine ad una nuova “accumulazione originaria”, che, come tutte le accumulazioni originarie, è caratterizzata da un elevato grado di concentrazione.
Per quanto riguarda il settore bancario, nel 1984 le prime dieci banche al mondo controllavano il 26% del totale delle attività , con il 50% detenuto da 64 banche e il rimanente 50% diffuso tra le 11.837 rimanenti banche di minor dimensione. I dati della Federal Reserve ci dicono che dal 1980 al 2005 si sono verificate circa  11.500 fusioni, circa una media di 440 all’anno, riducendo in tal modo il numero delle banche a meno di 7.500. Al I° trimestre 2011, cinque Sim (Società di Intermediazione Mobiliare e divisioni bancarie:  J.P Morgan, Bank of America, Citybank, Goldman Sachs, Hsbc Usa) e cinque banche  (Deutsche Bank, Ubs, Credit Suisse, Citycorp-Merrill Linch, Bnp-Parisbas) hanno raggiunto il controllo di oltre il 90% del totale dei titoli derivati:  Swaps sui tassi di cambio,  i Cdo ( Collateral debt obligations)  e i Cds (Collateral defauld swaps). Fonte: http://www.occ.treas.gov/topics/capital-markets/financial-markets/trading/derivatives/ dq111.pdf.
Nel mercato azionario, le strategie di fusione e acquisizione hanno ridotto in modo consistente il numero delle società quotate. Nel 1984 le prime 10 società con maggiore capitalizzazione di borsa, pari allo 0,12% delle 7.800 società registrate, detenevano il 41% del valore totale, il 47% del totale dei ricavi e il 55% delle plusvalenze registrate. Nel 2011, tali percentuali sono rimaste pressoché inalterate, con la differenza che tre di loro (Merrill Lynch, Lehman Brothers and Goldman Sachs) si sono fuse all’inizio del 2008 o sono divenute compagnie bancarie (ad esempio, l’acquisizione di Merrill Linch da parte di Citycorp) oppure, come nel caso di Lehman Brothers (e Bear Starney) sono fallite, favorendo in tal modo un ulteriore processo di concentrazione (Fonte: Federal Reserve).
In tale processo di concentrazione, il ruolo principale è detenuto dagli investitori istituzionali (termine con il quale si indicano tutti quegli operatori finanziari – da Sim, a banche, a assicurazioni,– che gestiscono per conto terzi  gli investimenti finanziari: sono oggi coloro che negli anni ’30 Keynes definiva gli “speculatori di professione”) . Nel 1984, relativamente al mercato americano, il valore dei titoli da loro intermediati, ammontava a circa a 2,6 miliardi di dollari. A fine 2007, secondo i dati della Federal Reserve, gli investitori istituzionali trattavano titoli per un valore nominale pari a 39 miliardi, il 68,4% del totale. E’ importante notare che tale quota si è incrementata nell’ultimo anno, soprattutto in seguito alla diffusione dei titoli di debito sovrano. Ad esempio, per quanto riguarda il debito pubblico, italiano, circa l’87% è detenuto da investitori istituzionali, per oltre il 60% all’estero (a differenza di quanto avviene in Giappone).
Da questi dati, possiamo arguire che in realtà i mercati finanziari non sono qualcosa di etereo e neutrale, ma sono espressione di una precisa gerarchia: lungi dall’essere concorrenziali (credenza apparentemente confermata dall’elevata flessibilità dei “prezzi”, flessibilità che è invece alla base delle plusvalenze), essi si confermano come fortemente concentrati e oligopolistici: una piramide, che vede, al vertice, pochi operatori finanziari in grado di controllare oltre il 70% dei flussi finanziari globali e,  alla base, una miriade di piccoli risparmiatori che svolgono una funzione meramente passiva. Tale struttura di mercato consente che poche società (in particolare le dieci, tra Sim e banche, citate in precedenza) siano in grado di indirizzare e condizionare le dinamiche di mercato. Le società di rating (spesso colluse con le stesse società finanziarie), inoltre, ratificano, in modo strumentale, le decisioni oligarchiche che di volta in volta vengono prese.
Dopo la crisi dei subprime del 2008-09, a partire dal 2010, la speculazione  finanziaria ha preso di mira le politiche di welfare. Il suo carattere  di biopotere si è così ancor più accentuato, andando a incidere direttamente sulle forme di vita. Tutto ciò non può stupire, dal momento che sono proprio la produzione di servizi sociali e immateriali (salute e medicina-farmaceutica, formazione, ricerca, sfruttamento delle risorse naturali, comunicazione e linguaggi,  biogenetica) i centri principali della produzione di plusvalore.
Ciò che sta accadendo in queste settimane ne è la più clamorosa conferma. Il meccanismo speculativo si svolge secondo le seguenti fasi, pur in presenza di variazioni sul tema a seconda del tipo di attività finanziaria di volta in volta oggetto dell’attenzione speculativa.
Fase 1: in situazioni di estrema incertezza e instabilità (quindi in situazioni di normalità finanziaria), alcuni settori (con riferimento ai titoli privati) o alcuni sistemi di welfare (con riferimento ai titoli sovrani) possono divenire oggetto di interesse speculativo, grazie alla presenza di alcuni fattori concomitanti che ne possono accentuare la volatilità. Tale volatilità può essere al rialzo (come, ad esempio, nel caso dei titoli derivati sul petrolio, nel corso dell’estate-autunno 2010, oppure nel periodo di nascita e sviluppo di una convenzione finanziaria che dà origine ad una bolla speculativa) o al ribasso, come nella situazione odierna.
Fase 2. L’intervento delle società di rating, tramite il declassamento o l’upgrading di parametri fittizi di valutazione del rischio, ha l’obiettivo di certificare ufficialmente una situazione di panico o di euforia. Nel caso dei titoli sovrani (welfare), si tratta sempre di situazioni emergenziali. E’ difficile individuare l’effettivo nesso di causa ed effetto tra declassamento del titolo sovrano e inizio della sua perdita di valore. Il punto, più volte denunciato  a parole ma mai seriamente affrontato nell’agenda dei cosiddetti “riformatori” dei mercati finanziari (ad esempio, il Financial Stability Forum, capitanato dal neo-governatore della Bce, Mario Draghi), è l’elevata collusione tra le società di rating e i grandi investitori istituzionali, che vedono spesso sovrapposizioni di cariche nei Consigli di Amministrazione, nonché partecipazioni incrociate. Al riguardo, il recente downgrade dei bond Usa può rappresentare una cartina di tornasole.  Comunque sia, una volta indotta la fase emergenziale, inizia la diminuzione di valore del titolo. I primi che vendono sono proprio i principali investitori istituzionali. Ad esempio, nei primi sei mesi del 2011, Deutsche Bank (tra le prime 10 potenze finanziarie del globo)  ha ridotto dell’88 per cento la propria esposizione sui titoli di Stato italiani, riducendo il proprio portafoglio di titoli dagli 8 miliardi detenuti alla fine del 2010 a 997 milioni di euro di oggi (fonte: Financial Times), dando inizio all’aumento dello spread tra Btp italiani e bond decennali tedeschi. Tale politica di vendite aveva interessato in precedenza la Grecia e anche altri paesi europei, con riduzioni dell’esposizione verso  Portogallo, Italia, Irlanda, Spagna e Grecia di quasi il 70%. Occorre notare che tali vendite, sono avvenute a scaglioni, precedendo gli effettivi crolli che tali titoli hanno poi realmente manifestato. Infatti, un simile massiccio afflusso di vendite si traduce immediatamente nel calo dei prezzi dei bond in questione, e quindi in un incremento del “rendimento” che questi devono garantire per rifinanziare il debito nazionale. Ne consegue l’ampliamento della forbice (spread) dei tassi d’interessi con analoghi titoli sovrani, ritenuti più sicuri e meno volatili (di solito, i bond tedeschi, americani e giapponesi, i quali pur avendo un rapporto debito/pil di oltre il 200% presentano una collocazione dei propri titoli di Stato per oltre l’80% in mani nazionali).
Fase 3: una volta conclamata la fase d’emergenza, si deve correre ai ripari. Nel caso in esame, gli stati nazionali sono più o meno costretti a prendere misure di controllo del debito pubblico e quindi di riduzione del welfare in nome dei diktat del pensiero neo e social-liberista, a seconda del colore dei governi. Essi si traducono, come sappiamo e abbiamo già analizzato, in una riduzione dell’intervento pubblico e nello smantellamento del welfare sociale. Non solo.  La Banca Centrale Europea è costretta, al di là delle diatribe nazionalistiche tra Francia e Germania, a intervenire per immettere moneta ex nihilo al fine di consentire il pagamento delle tranches di interesse. Nel caso di Italia e Spagna, il gioco è a dir poco facilitato: essendo i due paesi “too big to fail”, il rischio default è del tutto scongiurato, nonostante la stampa emergenziale continui a pensarlo possibile e i mercati finanziari continuino ad ipotizzarlo. Si tratta, mutatis mutandis, dell’analogo rischio corso con gli Usa. Nelle scorse settimane, per l’Italia e la Spagna, l’emergenza ha funzionato, per gli Usa, pur avendo scongiurato il rischio di default “tecnico”, la pressione speculativo-emergenziale pare  stia cominciando solo ora, con il downgrade di Standard & Poor’s. Un ulteriore conferma di come i mercati finanziari siano manovrabili molto più facilmente di quanto si possa immaginare e di come siano di gran lunga più potenti di qualsiasi stato nazionale.
Fase 4. Una volta che la situazione è arrivata al punto giusto, sempre per decisione di quegli investitori istituzionali che condizionano i mercati finanziari,  e i titoli sovrani sono ritenuti aver raggiunto il giusto ribasso e una volta che adeguati provvedimenti di politica economica sono stati intraprese a vantaggio dei mercati finanziari, l’emergenza, come d’incanto, cessa. Gli acquisti cominciano, le borse si risollevano e gli investitori istituzionali iniziano a far incetta dei titoli sovrani ai valori minimi. Nel giro di pochi giorni si maturano plusvalenze di tutto rispetto. Si calcola che dopo il primo attacco speculativo di metà luglio contro i titoli italiani, greci e spagnoli, con cali delle borse delle principali piazze finanziarie di oltre il 7-8%, in seguito al piano europeo di intervento straordinario di oltre 110 miliardi di euro a sostegno della Grecia,  il recupero sia stato tale da riportare gli indici azionari ai valori precedenti, con plusvalenze che hanno raggiunto livelli record in pochi giorni, sino a consentire a Goldman Sachs di godere di maggior liquidità della stessa Federal Reserve americana.
Quando si specula al ribasso, il momento topico è, dunque, l’inversione di rotta degli indici di borsa. Tale momento dipende da molti fattori:  in primo luogo, dal grado di collusività tra le società finanziarie egemoni e, in secondo luogo, dai provvedimenti che vengono presi dalle autorità monetarie (Bce)  e dai governi nazionali maggiormente sottoposti alla pressione speculativa. Il recente caso Usa e europeo sono da manuali. Il rischio di default “tecnico” degli Usa ha provvisoriamente distolto l’attenzione dalla pressione speculativa sui paesi europei a maggior debito pubblico. Tuttavia, nessuno dei principali speculatori i ha mai creduto alla possibilità di un default americano. Tale rischio ha, però, ottenuto i risultati sperati, imponendo vincoli sulla gestione del bilancio pubblico americano in materia di spesa sociale e favorendo l’aumento di liquidità monetaria a sostegno dei mercati finanziari. Non dissimile è la situazione europea. I diversi governi europei, sottoposti a pressione speculativa,  hanno tutti adottato politiche fiscali  “lacrime e sangue”. Alcuni, come la Spagna, hanno deciso di ricorrere ad elezioni anticipate, con l’effetto di distogliere la pressione speculativa a fronte della prospettiva di una vittoria elettorale di forze più consone al credo neo-liberista. Altri, come l’Italia, hanno messo in cantiere misure restrittive di ampia portata, ma con effetto non immediato ma solo nel biennio 2013-14 (manovra finanziaria di 80 miliardi, di cui oltre il 70% concentrato, appunto, nel biennio 20134-14, una volta terminata l’attuale legislatura). Dopo l’intervento a sostegno alla Grecia e la decisione della Bce di acquistare sul mercato secondario dei titoli di stato prevalentemente bond spagnoli e portoghesi, non può stupire che l’obiettivo più lucroso  della pressione speculativa, a prescindere dalla situazione economica (che, comunque non è delle migliori, soprattutto in termini di distribuzione del reddito e capacità di investimento) sia diventata l’Italia. Le aspettative speculative sono così concentrate su un nuovo intervento della Bce, in grado di iniettare nuova liquidità con l’obiettivo di dare nuova linfa ai mercati finanziari, o sulla ridefinizione dei tempi della manovra finanziaria. E tali misure non si sono fatte attendere.
La Bce, al momento (8 agosto 2011), non si è ancora resa disponibile ad un intervento straordinario per Spagna e Italia, così come fatto, a più riprese, per Grecia, Irlanda e Portogallo. Si è limitata solo a dichiarare l’acquisto di un numero maggiore di titoli italiani. Il governo italiano, all’interno di una ritrovata concertazione sociale (forse ancor più pericolosa della speculazione finanziaria) si è invece affrettato ad accettare i diktat dei mercati finanziari: anticipo del grosso della manovra finanziaria di un anno con il bilancio in pareggio non più nel 2014 ma già nel 2013; inserimento nella carta costituzionale dell’obbligo del bilancio pubblico in pareggio, così come nell’art. 105 del Trattato di Maastricht si era inserito a livello europeo il vincolo di un tasso d’inflazione non superiore al 2%; ulteriore smantellamento e privatizzazione del welfare. Tali misure saranno poi accompagnate da un ulteriore processo di liberalizzazioni e di precarizzazione sul mercato del lavoro, chiedendo ulteriori sacrifici alle parti sociali, in nome dell’emergenza nazionale.
Come abbiamo già sostenuto in altra occasione (http://uninomade.org/la-farsa-dellemergenza-economica-parte-ii/), il raggiungimento di tali obiettivi è praticamente impossibile: lo era già in un lasso di tempo più lungo, figuriamoci in un periodo ancor più breve e per di più con un onere degli interessi accresciuto nell’ultimo mese di circa 2,8 miliardi di euro in seguito all’aumento dei tassi d’interessi di queste settimane (cfr. Francesco Daveri: http://www.lavoce.info/articoli/pagina1002486.html).
I grandi investitori istituzionali sanno perfettamente tutto ciò. Il raggiungimento del bilancio in pareggio dell’Italia o degli altri paesi europei non interessa. Ciò che a loro interessa è, in primo luogo, che lo spazio per la speculazione finanziaria al ribasso rimanga sempre aperto e in secondo luogo che nuova liquidità venga continuamente e costantemente iniettata  nel circuito dei mercati finanziari, al fine di accrescere la solvibilità delle transazioni. Infine, in terzo luogo, si vuole che venga garantito il pagamento delle tranches di interessi.
L’attività speculativa è quindi sempre in azione. Se provvisoriamente non interviene in Europa, può sempre intervenire sul mercato delle valute o sui derivati delle materie prime oppure sui titoli di stato americani (come sembra oramai evidente, visto il declassamento del debito Usa da parte di Standard&Poor di questi giorni) o viceversa.
Si tratta di un meccanismo che nulla ha di parassitario, anzi. Da quando non sono più in vigore gli accordi di Bretton Woods, i mercati finanziari stabiliscono in modo autonomo e sovranazionale il valore della moneta, sulla base delle gerarchie e delle aspettative che gli speculatori istituzionali di volta in volta definiscono. La pervasività dei mercati finanziari sulla vita economica e sociale degli abitanti della terra (dai contadini del Sud del mondo, agli operai e ai precari dell’Est e dell’Ovest del mondo, dagli studenti  ai migranti) è tale che l’accesso a porzioni (sempre più  decrescenti) di ricchezza sia condizionato direttamente e indirettamente dagli effetti distributivi e distorsivi che gli stessi mercati finanziari generano. Qui sta il loro biopotere e la loro governance. Ogni euro di plusvalenza generata virtualmente nell’attività speculativa ha effetti reali sull’economia per circa un 30% (secondo i dati della Bri), mettendo in moto un moltiplicatore finanziario che incide direttamente sulle capacità di investimento e di distribuzione del reddito che stanno alla base dell’attuale processo di accumulazione. Tale 30% di fatto è creazione netta di moneta, al di fuori di qualsiasi forma di signoraggio statuale oggi esistente. La produzione di moneta a mezzo di moneta implica una nuova legge del valore e nuove regole di sfruttamento (cfr http://www.ephemeraweb.org/journal/10-3/10-3index.htm)  ed è per questo potere che i mercati finanziari sono oggi al centro della valorizzazione.
A fronte di questo contesto, è necessario operare per restringere il campo d’azione dei mercati finanziari: non tramite l’illusione di una loro riforma, ma tramite la costituzione di un contropotere, in grado di erodere la loro efficacia. E’ necessario rompere il circuito della speculazione finanziaria (soprattutto quando è al ribasso) andando a colpire la fonte del loro guadagno, ovvero favorendo la completa svalutazione dei titoli che sono di volta in volta al centro dell’attività  speculativa. Tale obiettivo può essere ottenuto solo tramite uno strumento: il non pagamento degli interessi (o la loro dilazione temporale) e la dichiarazione di default (bancarotta).  In tal modo, lo strumento stesso della speculazione verrebbe meno: i titoli di debito sovrani diventerebbero di conseguenza carta straccia, junk bonds o titoli spazzatura.  Gli investitori istituzionali speculano sul rischio di default ma sono i primi a non volere il default. Certo, la speculazione si sposterebbe altrove, creando nuove emergenze, ma almeno non avrebbe come mira il welfare, soprattutto se si perseguisse una  strategia di default controllato, ovvero accompagnata  a livello europeo e di concerto con la Federal Reserve da una politica comune di gestione della crisi, finalizzata, non solo a creare un fondo di intervento a sostegno dei paesi in difficoltà , ma soprattutto a emettere Eurobonds in grado di sostituire i titoli sovrani entrati in default a tassi d’interessi fissi e con interventi di controllo della libera circolazione dei capitali.
Di fatto, tale prospettiva è stata già in parte sperimentata per la Grecia. Proprio per il rischio di default, i titoli di Stato greci sono diventati titoli spazzatura perdendo oltre il 70% del loro valore. Tale situazione ha reso necessario (per evitare gli effetti negativi sull’Euro)  un piano straordinario di intervento europeo. Tale piano, tuttavia, invece di essere finanziato con l’emissione di nuovi titoli di stato garantiti dalla Bce in grado di sostituire quelli greci  ad un tasso d’interesse prestabilito sulla base dei tassi libor o del tasso ufficiale di sconto, si è limitato a fornire la liquidità necessaria perché le banche creditrici potessero in qualche modo compensare le perdite subite dalla svalorizzazione dei titoli. In tal modo, nuova linfa è stata fornita alla speculazione finanziaria.
Il diritto al default è già in funzione. E’ questa l’unica risposa politica adeguata. Occorre prenderne atto.

DA P.E.N.E.L.O.P.E. UNA RIFLESSIONE SULLA MANOVRA FINANZIARIA



La manovra economica appena varata dal Governo si abbatte soprattutto su di noi!
L’ultima misura che ci riguarda è l’innalzamento dell’età pensionabile a sessantacinque anni. È una questione di parità tra uomini e donne, ci dicono: ma quale parità? Non esiste da noi!
Questo è solo uno strumento per fare cassa!
Noi non ci opponiamo alla richiesta dell’Europa sulla parità di età pensionabile. È legittima.
Ma il vero problema, prima, è la reale parità nel mondo del lavoro e nella società.

L’UE mira a una seria politica di parità di genere, e in molti Paesi Europei si sta attuando. Ma non da noi: riguardo al lavoro, le donne occupate in Italia sono il 46%, contro la media europea del 60%.
Il primo problema della crisi è la mancanza di lavoro, e per molte donne la perdita di lavoro: alcune costrette a lasciare il lavoro quando sono incinte (...le famose “dimissioni in bianco” già annullate dal Governo Prodi con legge poi cancellata da questo Governo ...), altre costrette a stare a casa per cure alla famiglia.
Perché, infatti, l’altro grande problema è che il lavoro di cura famigliare è addossato totalmente alle donne: gravissima è la carenza di politiche a supporto della conciliazione tra lavoro e famiglia!

L’ultima grande beffa da noi subita è una promessa del Governo già disattesa: aveva deciso di far confluire i risparmi derivati dall’allungamento dell’età pensionabile delle dipendenti statali (120 milioni di euro del 2010 e 242 milioni del 2011) in un Fondo strategico con il quale finanziare politiche e servizi di sostegno alla conciliazione e alla non autosufficienza; risparmi usati invece per cose molto diverse! E tutto questo passato sotto silenzio nell’informazione politica.

Ora ci si potrebbe almeno aspettare che, con tante nuove pensioni a sessantacinque anni delle lavoratrici del privato, i futuri risparmi prodotti andassero a rimpinguare di nuovo quel Fondo per un rafforzamento di servizi che incentivino il lavoro femminile... ma non se ne parla.
E la crisi ha determinato un impatto violento sulle donne anche con lo stravolgimento del welfare: i tagli alla sanità, ai servizi per gli anziani, agli asili, ecc.... ricadono tutti sul lavoro femminile. Dovremo tornare a essere gli ‘angeli del focolare’ e magari rinunciare anche alla pensione perché quelle non sono considerate ore di lavoro?
Basta! Chiediamo che sia messo nell’agenda politica non solo l’obiettivo della parità nelle pensioni, ma anzitutto quello della parità nel lavoro col proposito della condivisione del lavoro di cura.

venerdì 26 agosto 2011

Miss chirurgia estetica: botulino e bisturi nel corpo femminile danno spettacolo


Riccione. Miss siliconata, miss botulino, miss misonorifattatantevolte, miss maggiorata chirurgicamente. Questi sono solo alcuni dei titoli delle categorie in gara.

Una specie di galleria degli orrori inflitti ai corpi delle donne in nome di un business che trova motivo di esistere per via del modello societario dominante: la donna come oggetto del desiderio.

Ti desidero perchè il chirurgo che ti ha rimodellato il seno ha fatto un buon lavoro; ti desidero perchè le tue labbra così grandi e carnose lasciano spazio a fantasie inimmaginabili... ti desidero perchè non sei più tu.



sabato 20 agosto 2011

L'estinzione a pagamento. La sterilizzazione proposta dalla Slovacchia

Il corpo della donna è ormai un centro economico e politico largamente strumentalizzato dai sistemi ideologici e di potere. Viene sfruttato da tempo, ancora prima che i "proletari" proclamassero la loro unica ricchezza nella prole, quando giustamente il centro della ricchezza sarebbe dovuta essere la donna. Ancora prima che le dinastie dei potenti cercassero nel primogenito maschio, la continuazione di un potere. Probabilmente ancora prima che Eva mostrasse le sue forme ad Adamo proponendo una mela quale frutto proibito della continuazione della specie.

Tutte le volte però, si rimane allibiti quando la violenza di un sistema paga la donna per la rinuncia alla procreazione, come uno stupro etnico formulato al contrario. Quando poi avviene alle porte di casa, nella moderna e civile Europa. ricorda talmente le pratiche naziste che è palese la svolta verso quei non-valori che si credevano superati e verso una non-cultura che si sta pian piano divorando le menti e i cuori delle persone.

Questa volta è la Slovacchia che fa pensare con la sua proposta di "sterilizzazione" a pagamento destinata alle classi povere, dall'articolo di Repubblica che posto di seguito e che è raggiungibile a questo LINK

Sterilizzazione gratis e incentivata da sussidi per i poveri, e poco importa se la maggioranza dei poveri appartiene a una delle minoranze più emarginate d'Europa. Non siamo certo alla sterilizzazione forzata che vigeva nel Terzo Reich per i gruppi non ariani e per i disabili, ma con tutte le abissali differenze tra ieri e oggi il ricordo di quel passato è inevitabile.

La proposta è emersa nella postmoderna, democratica e ricca Slovacchia, e di fatto, vista la composizione sociale del paese, riguarda soprattutto i rom. Il ministero del Lavoro, uno dei quattro dicasteri che nella coalizione di centrodestra al potere a Bratislava è in mano al partito arci-conservatore "Libertà e solidarietà", lo suggerisce in una bozza di legge. La polemica è esplosa, governo e società si spaccano, ma la proposta resta conferma tragica della condizione dei rom nel Vecchio continente.

Espulsi in massa dalla Francia di Sarkozy, esposti a pogrom e ronde degli ultrà della Guardia magiara in Ungheria, malvisti in zone ricche dall'Italia alla Repubblica Ceca, i rom sono oggi la minoranza europea più numerosa: almeno otto milioni e mezzo. Vivono qui, ma nel sottoscala della vita, nei sottili o brutali ghetti di fatto del nostro quotidiano.

Persino nella solida democrazia tedesca, i rom profughi dalle guerre scatenate da Slobodan Milosevic nell'allora Jugoslavia sono in maggioranza ospiti tollerati, senza pieno status di asilo, e in alcuni Bundeslaendern i loro figli non hanno accesso garantito alla scuola. La coraggiosa tv pubblica tedesca, ricordando come Hitler li sterminò, li descrive come la minoranza peggio trattata in tutta la Ue.

La proposta slovacca, denunciata ieri da Repubblica. it e da Il Piccolo, promette le migliori intenzioni: dare ai poveri, che non possono permettersi troppi figli, la scelta di non averne più. Non pillole o condom, ma sterilizzazione gratis, premiata con sussidi di entità ancora non definita, ma in euro visto che la Slovacchia è membro dell'Unione monetaria.

A Bratislava è già polemica: i cristiano-conservatori della giovane premier Iveta Radicova sono in grave imbarazzo, l'accusa di estinzione programmata è nell'aria. "Libertà e solidarietà", partito decisamente di destra nato su Internet, non menziona i rom come bersaglio. Ma tutti sanno che la stragrande maggioranza dei (pochi) poveri slovacchi sono loro: tra 200 e 400mila su 5,5 milioni di abitanti.  "Se si guarda ai criteri del programma possiamo concludere che queste proposte sono indirizzate specie verso i rom", denuncia la sociologa Elena Kriglerova Gallova. "Che importa, sono una razza infetta", si può leggere online sui social network.

Tempi bui in Europa. La Slovacchia non è sola: l'anno scorso fu Nicolas Sarkozy, che vuole salvare l'euro con Angela Merkel, a ordinare alle "Compagnies républicaines de sécurité" e alla Gendarmeria nazionale la cacciata dei rom. Nell'Ungheria nazionalista, ronde nere e "lavoro utile" forzato. Persino in Germania, anche artisti rom di successo come la giovane jazzista Dotschy Reinhardt si sentono "trattati come un corpo estraneo".

Purtroppo, sia la Cecoslovacchia realsocialista sia la Slovacchia del dopo secessione hanno tristi tradizioni. La dittatura tardostaliniana effettuava sterilizzazioni forzate. Il leader del Partito nazionale slovacco Jan Slota chiede da tempo "niente cibo e soldi per chi non vuol lavorare", allusione chiara. Gli estremisti negli anni scorsi si sono spesso scatenati contro i rom. Fino alla strage di sei di loro, compiuta da un folle nell'agosto 2010. E in un villaggio slovacco un Muro divide i ghetti rom dai quartieri dei cosiddetti "cittadini normali".

domenica 19 giugno 2011

BINDI - INTERVENTO ALLA CONFERENZA NAZIONALE SUL LAVORO

"Essere poveri quando si lavora 
vuol dire che qualcosa non torna"

Questa frase tratta dall'intervento di Rosy Bindi alla Conferenza Nazionale sul Lavoro che si è tenuta a Genova, da l'idea della dimensione critica in cui versa il sistema occuzionale. Oggi, infatti, in Italia il lavoro non rende sufficiente dignità alle persone e il Paese è di fatto regredito nei valori e nei diritti.

Di seguito una parte dell'intervento di Rosy Bindi

Questa data è importante per dire che il PD ha capito i risultati del referendum: il Paese ci ha detto di puntare all'essenziale.

Quando segnavo il mio Sì sul quesito per l'acqua pensavo che quel sì significava salute e lavoro. Quando mettevo il mio Sì sul Legittimo impedimento pensavo alla Costituzione italiana dal primo all'ultimo articolo nei valori della legalità e dell'uguaglianza. L'Italia ha scelto la qualità dello sviluppo e anche il PD ha scelto di puntare all'essenziale: ambiente, crescita e diritti

Ci siamo ritrovati intorno al lavoro e questo non significa fare un passo indietro, un rifugiarsi nel passato. Non è così. Il centrodestra nel lavoro ha espresso tutta la sua sostanza: non ha affrontato le sfide del moderno ma ha considerato il lavoro come luogo di conflitti, alimentando le diversità, creando isolamento dei lavoratori. Soli verso il collega, verso il territorio, verso l'immigrato. La maggioranza ha superato il concetto fondamentale della concertazione che ci evitò la bancarotta nei primi anni 90 e ha mortificato l'unità sindacale e del lavoro. 

Mi domando ma un partito come il nostro, difronte a questa cultura che ha prodotto solo danni, dove il 30% dei giovani e il 60% delle donne sono fuori dal lavoro, dove 4 milioni di lavoratori sono precari, abbiamo un altro spazio per non affrontare il tema del lavoro con proposta alternativa per il Paese? In Europa ci sono modelli funzionanti. Ad esempio in Danimarca. Ma noi siamo italiani e dobbiamo adottare un tema con un modello italiano.

Il dibattito che emerge oggi non significa divisione ma solo ricchezza. Alla fine il messaggio dovrà essere profondamente unitario. Dovremo fare un sforzo culturale perché il lavoro non è solo fonte di reddito ma come dice la Costituzione uno strumento per la libertà e la dignità. Gli articoli e i principi della nostra Costituzione non sono affatto superati e continuano a ispirare noi come partito riformatore.

Che paese abbiamo costruito se il 30% dei giovani e il 60% delle donne nono sono messi in grado di dare il loro primo contributo alla crescita del Paese? Essere poveri quando si lavora significa che qualcosa non torna e a noi è toccato di vivere proprio in questa fase.

È la fine di un ciclo e l'inizio di un altro. Lo inizieremo noi sui valori che gli elettori ci hanno detto di costruire la nostra convivenza. Dallo Statuto dei Lavoratori conosciamo i principi che hanno ispirato le grandi riforme. Tali principi ispireranno anche le nostre proposte.

Facciamo qualcosa in particolare per le donne: sento che il governo vuole portare a 65 anni le pensioni per le lavoratrici  e ci dicono che è solo un adeguamento alla normativa europea. Questa non è una risposta per il welfare italiano. La risposta giusta è la lotta contro il precariato che colpisce 4 milioni di lavoratori; sono le politiche per le donne come avvengono in Germania (congedo parentale) o in Francia (assegni familiari): norme di uguaglianza e di sostegno.

Rinunciate al licenziamento in bianco. Se il Paese vuole crescere deve crescere anche dal punto di vista demografico.

Non si può fare a meno del contributo del 60% delle donne per lo sviluppo del Paese. Si tiene tutto se abbiamo a cuore il bene del Paese. Avremo il consenso e la forza di fare scelte difficili sapendo che gli italiani ci capiranno e ci seguiranno se diciamo dove vogliamo andare per il bene del Paese.


giovedì 16 giugno 2011

FIAT ED ENI SENZA DONNE NEL CdA



Dal Festival dell'economia di Trento
Al tavolo dei relatori del festival dell’economia non sembravano esserci dubbi sull’importanza di questo strumento sempre più usato nei Paesi industrializzati. Di sicuro non ne aveva e non ne ha Anna Maria Tarantola - vicedirettore generale della Banca d’Italia. 

Anche lei s’è fatta forte dei numeri: “Secondo un nostro studio se si arrivasse ad un 60% di occupazione femminile, il PIL salirebbe di ben sette punti”. Attualmente sono impiegate il 46% delle donne italiane a fronte del 66 per cento di uomini. “Un altro dato – ha proseguito la Tarantola – ci dice che le donne nei board in Italia sono ferme ad uno sconfortante 14%! Secondo me le quote rosa sono necessarie perché servono ad abbattere ‘soffitto di cristallo’. Non è detto che debbano restare per sempre, probabilmente basterebbe un periodo limitato. Certo vanno poi selezionate donne capaci, ma questo sono sicura non è un problema!”

 Anche l’unico uomo al tavolo è favorevole a questo “istituto” molto usato soprattutto nel Nord Europa. Si tratta di Corrado Passera, consigliere delegato e CEO di Intesa Sanpaolo che ha detto: “C’è un problema in Italia che si chiama record europeo di bassa occupazione femminile nelle aziende e secondo me le quote rosa possono essere la soluzione. Di sicuro qualcosa di forte va fatto. Io non ho idea di quanto potrebbe salire il PIL, certi numeri mi lasciano anche perplesso, ma di sicuro ci porterebbe una competenza complementare nei consigli di amministrazione”. 
 
Passera ha poi portato l’esempio concreto di Intesa Sanpaolo, il suo gruppo bancario che “si è mosso già da tempo, con una specie di ‘comunità interna’ per capire il perché di questa situazione. E’ chiaro – ha proseguito – che molto ruota attorno alla gravidanza ed ai primi anni dei figli, ma la problematica è più complessa. Noi abbiamo introdotto delle tutorship perché c’eravamo accorti che lo stacco per i figli creava un black-out di contatto con l’ufficio”. Il manager ha poi sottolineato come i “meccanismi di part-time tradizionali non sempre funzionano. Bisogna pensare ed introdurre nuovi tipi di flessibilità pensati specificatamente per la gestione dei bambini; anche perché la donna poi, quando rientra in azienda è più forte di prima. Noi abbiamo avuto un caso di rientro dalla gravidanza con una promozione. Sarà un episodio isolato ma è significativo”.

Prodiga di dati è stata invece nel suo intervento l’autrice che ha voluto presentare bene il “caso Norvegia”. “Qui, dopo aver introdotto nell’ormai lontano 2006 le quote rosa del 40% adesso sono già oltre: stanno pensando di introdurre nel top management delle quote riservate agli immigrati. E mi preme citare la genesi delle quote rosa in questo Paese nordico: lo spunto è venuto non dai sindacati ma bensì da un uomo, un ministro conservatore che si era accorto che le assunzioni nelle grandi imprese avvenivano secondo canali poco ortodossi come l’iscrizione a club o a interessi comuni, spesso sportivi, tra gli uomini co-optati”. 
 
Anche in Italia l’iter della proposta di legge è bipartisan: “In commissione parlamentare è a buon punto – ha spiegato la D’Ascenzo agli oltre 150 presenti in sala – e se venisse approvato, cosa molto probabile già a giugno, sarebbe un vero tsunami. Pensate solo che società come FIAT o ENI non hanno neanche una donna nei loro CDA!” Ma l’autrice riserva una stoccatina anche alle donne che nel libro, professionalmente, tanto difende: “Dobbiamo imparare a non essere invidiose tra noi. Bisogna cambiare atteggiamento, se non vogliamo essere condannate ad un’’invisibilità perpetua’ come è stata definita”.

Un ultimo intervento di Anna Maria Tarantola: “Io mi sono chiesta: perché le donne che fanno carriera ad alto livello sono spessissimo single, senza figli o separate? Risposta: perché la società non facilita chi vuole, oltre a lavorare, avere anche una famiglia. Non bisogna mettere le donne di fronte a questa scelta così pesante e così difficile, o famiglia o lavoro. All’uomo questo non è chiesto!”. Né in FIAT e né in ENI.
Fabio Pipinato (direttore di Unimondo)